Giosuè Carducci (1835-1907)

Informazioni di base:

  • Vero Nome: Giosuè Alessandro Michele Carducci
  • Scomparso nel: 1907
  • Data di nascita: 27 Luglio 1835
  • Professione: Poeta
  • Luogo di nascita: Valdicastello (LU)
  • Nazione: Italia
  • Giosuè Carducci in Rete:

  • Sito Non Ufficiale: Un sito non ufficiale su Giosuè Carducci
  • Wikipedia: Giosuè Carducci su Wikipedia
  • Biografia:

    (estratta da Wikipedia)

    Nobel per la letteratura 1906
    Giosuè Alessandro Michele Carducci (Valdicastello, 27 Luglio 1835 – Bologna, 16 Febbraio 1907) è stato un poeta e scrittore italiano.



    Biografia
    Carducci raffigurato in busto nella Biblioteca Civica di Verona.
    L'infanzia
    Nacque nel 1835 a Valdicastello (Pietrasanta, Lucca) da Michele e Ildegonda Celli, ma nel 1839 la famiglia si trasferì a Bolgheri, dove il padre implicato nei moti carbonari del 1831, esercitava la professione di medico condotto.
    Gli studi
    Nel 1849 la famiglia si stabilì a Firenze dove Giòsue compì gli studi presso gli Scolopi acquisendo una buona preparazione in campo letterario e retorico e nel 1853, dopo aver vinto il concorso per un posto gratuito presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, si iscrisse alla Facoltà di Lettere dove nel 1855 conseguì la laurea con una tesi sulla poesia cavalleresca e nello stesso anno pubblicò le sue prime poesie sul mensile "L'Arpa del popolo".
    L'insegnamento
    Nel 1856 dopo essersi trasferito a Santa Maria a Monte, piccolo borgo nella provincia di Pisa, insegnò retorica presso il Ginnasio di San Miniato vivendo una intensa esperienza che riporterà poi nel 1863 nelle pagine di carattere autobiografico: Risorse di San Miniato. Nel corso di questo anno il poeta andò affermando la sua poetica anti-romantica e con il gruppo di amici formato da Giuseppe Chiarini (1833-1908), Ottavio Targioni Tozzetti (1833-1899), Tommaso Gargani (1834-1862) ed Enrico Nencioni (1837-1896) fondò la società letteraria degli Amici pedanti, dal taglio fortemente classicistico e anti-romantico, intervenendo in modo battagliero nelle discussioni tra manzoniani e anti-manzoniani ai quali ultimi appartiene.

    Nel luglio dello stesso anno ottiene l'abilitazione all'insegnamento, ma non viene ratificata dal governo granducale la sua designazione per concorso al ginnasio di Arezzo.
    Le idee politiche
    Sospettato dalla polizia per le sue idee filo-repubblicane, il 9 Aprile 1858 venne sospeso dall'insegnamento e per la durata di tre anni visse a Firenze guadagnandosi da vivere con il lavoro presso l'editore Barbera del quale curava l'edizione dei piccoli volumi della "Bibliotechina Diamante" e dando lezioni private. Negli anni del trasformismo il poeta conquistò un posto centrale nella struttura ideologica e culturale dell'Italia umbertina, giungendo ad abbracciare le idee politiche di Francesco Crispi. Il 30 Settembre 1894 nella Repubblica di San Marino pronunciò il discorso per l'inaugurazione del nuovo Palazzo degli Offici (ora Palazzo Pubblico).
    I lutti
    Colpito nel giro di due anni da due gravi lutti - nel 1857 morì il fratello Dante, morto suicida nella casa santamariammontese del poeta secondo la versione ufficiale, ma forse ucciso accidentalmente dal padre dopo un litigio secondo una più recente versione, e nel 1858 lo stesso padre si suicidò per il dolore o forse per il rimorso; entrambi vennero sepolti nel vecchio cimitero del paese dove oggi sono ancora visibili le lapidi - Carducci trascorse un periodo di grande sconforto che espresse attraverso alcune sue liriche ricordando il "colle" ove ebbe luogo la tragedia, ovvero Santa Maria a Monte. Il 7 marzo 1859 il matrimonio con la cugina Elvira Manicucci, dalla quale ebbe quattro figli (Dante, Bice, Laura e Libertà (Titti)), lo aiutò a superare il dolore dei lutti.
    Fu di nuovo colpito da gravi lutti familiari nel 1870 con la morte della madre e del figlio Dante, deceduto in tenera età, a cui dedicò la poesia "Pianto antico".
    Il ritorno all'insegnamento
    Riammesso all'insegnamento, gli venne affidato un incarico presso il Liceo Classico Niccolò Forteguerri di Pistoia dove insegnò per tutto il 1859 Latino e Greco.
    Con decreto del 26 Settembre 1860 venne incaricato, dall'allora Ministro della Pubblica Istruzione Terenzio Mamiani Della Rovere, a tenere la cattedra di Eloquenza Italiana, in seguito chiamata Letteratura Italiana presso l'Università di Bologna dove rimarrà in carica fino al 1904. Pubblicò nel frattempo Juvenilia, che raccoglie tutte le poesie del decennio precedente.
    Nel 1863 pubblicò con lo pseudonimo di Enotrio Romano l' Inno a Satana che, pur ottenendo successo, fomentò vivaci polemiche. Sempre di quell'anno è la pubblicazione Delle poesie toscane di A. Poliziano.
    La poesia laica
    La sua poesia intanto, sotto l'influsso delle Letterature straniere ed in particolare di quella Francese e Tedesca, divenne sempre più improntata di laicismo mentre le sue idee politiche andavano orientandosi in senso repubblicano. Oltre all' Inno a Satana pubblicò nel 1868 la raccolta maggiormente impegnata dal punto di vista politico: Levia Gravia.
    Poeta nazionale
    Nel 1871 il poeta conobbe Carolina Cristofori (moglie dell'ex-garibaldino Domenico Piva e madre di Gino Piva), una donna ricca di ambizioni culturali, con la quale iniziò un fitto scambio epistolare sfociato nel 1872 in una relazione amorosa. Alla donna, chiamata Lina o Lidia nelle lettere e in alcune poesie, dedicherà molti dei suoi versi e fu proprio in questo periodo che la fama del poeta, come guida nazionale della cultura italiana, si consolidò. Di questi anni è l'ampia produzione poetica che verrà raccolta in Rime Nuove (1861-1887) e in Odi barbare (1877-1889).
    Proseguì l'insegnamento universitario e alla sua scuola si formano personalità come Giovanni Pascoli, Severino Ferrari, Renato Serra, Alfredo Panzini, Manara Valgimigli ed Emma Tettoni.
    Nel 1873 si recò per la prima volta a Roma e pubblicò A proposito di alcuni giudizi su A. Manzoni e Del rinnovamento letterario d'Italia.
    Nel 1874, fece pubblicare la prima edizione a stampa dell'opera di Leone Cobelli, storico del XV secolo, le "Cronache Forlivesi", di cui aveva curato l'edizione insieme ad Enrico Frati.
    Nel 1878, in occasione di una visita della famiglia reale a Bologna, scrisse l'Ode Alla Regina d'Italia in onore della regina Margherita, ammiratrice dei suoi versi e venne accusato di essersi convertito alla monarchia suscitando forti polemiche da parte dei repubblicani.
    Negli anni che seguirono collaborò con il giornale "Fanfulla della Domenica" di impronta filo-governativa (1878), pubblicò le Nuove Odi Barbare e i Giambi ed epodi, collaborò alla Cronaca bizantina e lesse il famoso discorso Per la morte di Garibaldi (1882).

    Sulla Cronaca bizantina uscirono nel 1883 i sonetti del Ça ira e nel 1887 pubblicò Rime nuove. Il corso che tenne all'Università nel 1888 sul poema Il giorno di Parini produsse l'importante saggio Storia del "Giorno" di G. Parini. Nel 1889, dopo la pubblicazione della terza edizione delle Odi Barbare, il poeta iniziò ad assemblare l'edizione delle sue Opere in venti volumi, lavoro che si concluse nel 1899.
    La nomina a senatore
    Nel 1890 venne nominato senatore e negli anni del suo mandato sostenne la politica di Crispi, che attuava un governo di stampo conservatore, anche dopo la sconfitta di Adua.

    Conobbe in quello stesso anno la scrittrice Annie Vivanti con la quale instaurò un'intensa amicizia sentimentale.
    Gli ultimi anni di vita
    Nel 1899 pubblicò la sua ultima raccolta di versi, Rime e Ritmi, che comprende, fra l'altro, l'ode La chiesa di Polenta, con cui lega questa località alla storia di Paolo e Francesca ed alla vita stessa di Dante.
    Nel 1904 fu costretto a lasciare l'insegnamento per motivi di salute. Nel 1906 l' Accademia di Svezia gli conferì il Premio Nobel per la letteratura, il primo ad un italiano con la motivazione:
    La morte lo colse a Bologna il 16 febbraio del 1907. È sepolto alla Certosa di Bologna.
    Storicismo e Classicismo in Giosuè Carducci
    Conoscitore delle correnti letterarie straniere, tra le quali quella tedesca, la francese e l'inglese, egli concepì la letteratura in senso storicistico, come linguaggio di popolo che, riandando alle proprie radici, interpreta il suo processo presente e futuro secondo leggi e prospettive ben precise, pur con le variabili che di volta in volta emergono. Di qui il collegamento con il pensiero filosofico di Kant e di Dilthey; e con quello critico letterario di De Sanctis e Puoti, considerati suoi maestri.

    Carducci s'impegnò inoltre nell'indagine filologica, scoperta secoli prima dal Poliziano, se non da Dante e Petrarca, per sondare ancor più quanto letteriariamente e storicamente egli andava cercando. E assieme all'Ascoli, Manzoni, Puoti, si sforzava di riproporre la purezza linguistica, libera dalle intrusioni che si erano andate accumulando nei secoli scorsi a seguito delle invasioni straniere; e sull'esempio di quanto aveva attuato in Francia Malherbe.

    Egli fu influenzato dal pensiero di W. Dilthey: in particolare da “La introduzione alle scienze e dello spirito” (1883) e dagli studi da questi condotti sul pensiero di Schleiermacher, che nel campo estetico avrebbero avuto approfondimenti in Croce e in quello filosofico da M. Heidegger.

    Carducci ritiene che il processo storico dei popoli debba trovare sostegno nelle radici culturali, base della loro civiltà. È pure convinto che la storia non ripete gli schemi del passato per le diverse situazioni da affrontare e il più vasto numero dei popoli con i quali si viene a contatto. Per cui, se necessaria risulta l'analisi storica (compresa quella letteraria artistica e filosofica) per aver coscienza delle proprie radici, nel contempo occorre operare intuitivamente nella risoluzione dei nuovi problemi, di qualunque natura essi siano: letterari, artistici, religiosi e filosofici. Donde la necessità congeniale delle persone preposte alla cosa pubblica , culturale e economica; senza della quale si rischia di avvizzire nei meandri di un passato incapace di alternative.

    Ritiene che i poeti, gli artisti siano gli antisegnani di tale processo; magari in un primo momento oggetto di contestazione e di critica negativa perché non capiti, dato che per natura la massa è piuttosto conservatrice. Da qui il concetto di poeta vate, a lui attribuito: del resto non si spiegherebbe il percorso della poetica carducciana, tanto osannata, quanto criticata.

    Tuttavia l'enfasi, relativa all'indagine storica, considerata sotto l'aspetto filosofico, riguarda chi è impegnato socialmente e culturalmente, tanto da porsi in polemica aperta con la classe dirigente e politica dell'epoca, che, benché legata agli ambienti massonici, voleva mantenere un certo equilibrio con la gerarchia cattolica, soprattutto dopo la presa di Roma nel 1870. È questo il momento dell'inno “ A Satana”: un tributo alle conquiste della scienza e del progresso in genere; ma il solo titolo suonava male agli orecchi più ortodossi dell'epoca; e di “Dopo Aspromonte”, di “ça Ira”, di “ Piemonte”. Momenti fugaci che con l'andar del tempo e soprattutto con il sopravvenire di un maggior equilibrio interiore il poeta entra in un'area, forse più consona al suo io: la poesia dei ricordi e degli affetti, supportata da una cultura classica che in lui non era mai venuta meno. È questa l'epoca delle “Rime Nuove”, dell'ammirazione della campagna toscana, degli amori giovanili mai dimenticati, degli affetti famigliari, dei sogni mitici dell'antica Ellade e della grandezza di Roma, dei desideri di un tempo e realizzati solo in parte. “Davanti a S. Guido” del 1874 e rivista nel 1886, segna l'avvio di un traguardo poetico che trova nell'antica poesia greca e nei ricordi più cari dell'infanzia il motivo più puro. I cipressi costituiscono nell'intenzione poetica il coro della tragedia ellenica il quale intreccia con il protagonista, lo stesso poeta, un dialogo quanto mai problematico. Da un lato la tentazione di ritornare indietro nel tempo e assaporare nel paesaggio che lo videro fanciullo la dolcezza di sogni e di affetti, ormai perduta; dall'altro canto, da parte di Carducci che il treno sta trasportando lontano, il tentativo di resistere a quelle voci che gli fanno intravedere un sogno impossibile a realizzarsi, nonostante “vedi come pacato e azzurro è il mare/ Come ridente a lui discende il sol”. E Pan, la divinità della solitudine campestre nell'ora assolata del meriggio, dissolverà tutte le sue pene. Da ultimo il personaggio della nonna dall'accento versiliese e che riposa nel piccolo cimitero alto sulla collina e gli vuole narrare, ancora una volta, la novella della fanciulla che ha perduto il suo amato, vittima di un sortilegio. Ma nulla! Il poeta con il pianto nel cuore è trascinato via dal treno verso Bologna dalla sua Tittì, la cara bambina che l'aspetta.

    Quelli della piena maturità sono gli anni della riflessione interiore, a seguito di lutti dolorosi che l'hanno colpito. “Pianto Antico” ricorda la morte del figlioletto Dante che, a sua volta, ricordava nel sacro nome del sommo Poeta, la tragica morte del fratello. L'uno e l'altro accumunati nel pianto di “Funere mersit acerbo”; e accanto a questi l'immagine della madre, rivivendola in “Sogno d'estate” tra i prati fioriti delle colline toscane assieme alla lontana visione del mare con nel cuore i sogni di un adolescente, attratto dalle letture omeriche. Il tutto immerso nella luce solare della prima estate, quando la vita promette ogni cosa.

    Adesso il poeta è disilluso, nonostante la fama, la carriera universitaria, gli scritti da ogni angolo di critica osannati. Nel suo giardino in pieno giugno vede rifiorire il melograno dai fiori vermigli e che attirava il suo bambino di cui non avverte più le grida gioiose perché “Nella terra fredda,... nella terra negra,”...né il sol potrà più rallegrarlo, né l'amore riportarlo in vita. Il poeta, di tanto in tanto, ritorna agli amori poetici di un tempo, soprattutto della tradizione greca. Ed ecco “ Primavere elleniche” (I. Eolia, Dorica e Alessandrina). Egli immagina d'essere accompagnato per quei mari e quei cieli di azzurro cristallino da Lina, la donna amata, nel periodo quando febbraio sta per finire e la primavera sta per rifiorire, nonostante le cime del Feriale siano ancora innevate sfavillando al sole, mentre il fiume Castalia comincia a rumoreggiare con le acque che stanno scendendo lucide. Delfi richiama Apollo con la musicalità delle sorgenti e i canti degli uccelli.

    E il dio ritorna dal freddo settentrione ai luoghi a lui noti, alle piante d'alloro ancora infreddolite. Lo accompagnano due bianchi cigni; e per dove passa riporta il sereno, mentre sul capo tiene la benda offertagli dal padre Giove. I suoi capelli, mossi dalla brezza, esprimono un sntimento d'amore, manifestato dal suono della lira che tiene tra le mani. Le isole Cicladi, come danzando, fanno da contorno . Intanto quelle lontane di Cipro e di Citera plaudano a lui che arriva. Una leggera imbarcazione dalle rosse vele lo accompagna attraverso il mar Egeo; al timone, armato dal plettro d'oro, sta Atlante; mentre la poetessa Saffo, innamorata, prende posto sul veliero. Un tripudio di felicità e di sentimenti divini fa da contorno ai due amanti in quel mare violaceo e sotto un cielo divino. Una fantasia fuori da ogni dimensione umana; un'enfasi mistica ove lasciarsi perdere e sognare.

    Questo il Carducci più vero? Difficile a dirlo. Forse il rifugio ove abbandonarsi nei momenti di delusione e smarrimento per rinvenire una ragione di vita!

    Ormai anziano e forse attratto dai ricordi dell'infanzia, compose “ La chiesa di Polenta”, restaurata. Alla fine ecco la preghiera indirizzata alla Vergine, quando alla sera la campana annuncia la fine della giornata. Tutti in quel momento pregano Maria sia da parte de “piccioli mortali” come dai grandi geni dell'umanità. Un flusso melodico passa dalla terra al cielo. Accanto ai ricordi dei propri trapassati una volontà di pianto sorge spontanea dopo le fatiche della giornata. E intanto cala il silenzio su tutto, nel mentre il tramonto sfuma e le foglie più alte dei rami, mosse dalla brezza, sembrano ripetere il saluto mariano.

    Quello del Carducci costituisce un percorso in un momento storico, dalle prospettive ancora molto incerte in un insieme di entusiasmi e ( perché no?) di paure per un futuro, ancora avvolto dalle nebbie del dubbio.
    Produzione poetica
    Non è sempre facile seguire lo sviluppo della poesia del Carducci attraverso le raccolte da lui edite. Il poeta infatti organizzò più volte e in modo differente i suoi componimenti e ne diede una sistemazione definitiva solamente più tardi nell'edizione delle Opere.

    I volumi della raccolta delle Opere non corrispondondono però all'ordine cronologico con il quale il poeta aveva pubblicato le prime raccolte, ma fanno riferimento più che altro su distinzioni di generi e pertanto troviamo poesie di uno stesso periodo in raccolte diverse.


    Le Opere
    Sotto il titolo di Opere il Carducci stesso organizzò definitivamente le sue raccolte, lasciando fuori da esse alcuni testi.
    Le raccolte seguono questo ordine:
    Juvenilia in sei libri (1850-1860)
    Levia Gravia in due libri (1861-1871)
    Inno a Satana (1863)
    Giambi ed Epodi in due libri (1867-1879)
    Intermezzo (1874-1887)
    Rime Nuove in nove libri (1861-1887)
    Odi barbare in due libri (1873-1889)
    Rime e Ritmi (1889- 1898 )
    Della Canzone di Legnano, parte I (Il Parlamento). (1879)

    Juvenilia


    La prima raccolta di liriche, che lo stesso Carducci raccolse e divise, dal titolo significativo Juvenilia (1850-1860), ha il carattere un po' provinciale e pedante del gruppo degli "Amici pedanti" che aveva formato in quel periodo con il proposito di combattere i romantici fiorentini. Nei versi della raccolta si coglie subito l'imitazione dei classici antichi e, tra i moderni, soprattutto quella di Alfieri, Monti, Foscolo e Leopardi.

    In seguito a questa prima esperienza il Carducci, che nel frattempo aveva allargato i suoi orizzonti culturali con le letture di Hugo, Barbier, Shelley, Heine e Von Platen, assorbe le esperienze della poesia romantica europea e le ideologie di tutti quei movimenti democratici nati dalla Rivoluzione francese diventando acceso repubblicano e mazziniano.

    Nasceranno in questo periodo di grande fervore ideologico Giambi ed Epodi che seguono il noto Inno a Satana e si intrecciano con le poesie di Levia Gravia.

    Levia Gravia


    (Cose pesanti e cose leggere) Nella seconda raccolta, Levia Gravia (1861-1871), che accosta nel titolo due plurali senza congiunzioni come era nell'uso classico, vengono raccolte poesie di poca originalità, di imitazione e spesso scritte per particolari occasioni secondo l'uso della retorica.

    In molte di queste poesie si avverte la delusione di chi ha visto il compiersi dell' unità d'Italia. Tra le poesie maggiormente riuscite vi è Congedo, dove si vive lo stato d'animo nostalgico di chi ha visto la giovinezza tramontare, mentre importante dal punto di vista storico è Per il trasporto delle reliquie di U. Foscolo in S. Croce e politicamente significativo il canto Dopo Aspromonte, dove viene celebrato un Garibaldi ribelle e fiero.

    Giambi ed Epodi


    La raccolta intitolata Giambi ed Epodi (1867-1879) viene citata dalla critica come il libro delle polemiche. In essa, pur non essendoci ancora la vera poesia carducciana, si coglie tutta la passione del poeta e vi sono tutti, anche se non ancora affinati, i temi della sua poesia. Si avverte nel titolo il desiderio di riproporre l'antica poesia polemico-satirica, come quella greca di Archiloco e quella latina di Orazio che nel suo Libro di epodi si ispira al poeta-soldato.

    In Giambi ed Epodi vi è l'esaltazione dei grandi ideali di libertà e giustizia, il disprezzo per i compromessi dell'Italia unificata, la polemica contro il papato e contro molti aspetti di costume della vita italiana.

    Rime Nuove


    Nella raccolta Rime nuove (1861-1887), che è preceduta da un Intermezzo, si colgono gli echi e i motivi di Hugo, von Platen, Goethe, Heine, Baudelaire e Poe. In essa i contenuti e le forme derivano in gran parte dai precedenti scritti ma maggiormente approfonditi e maturi.

    Tra i temi che emergono nelle Rime nuove un posto rilevante è assunto dal culto del passato e delle memorie storiche dove il sogno della realizzazione di una società egualitaria e liberale si avverte soprattutto attraverso l'esaltazione dell' età dei comuni che vengono presi come esempio di sanità morale e di vita civile.

    Un altro esempio preso dal Carducci di espansione democratica è la Rivoluzione Francese che viene rievocata nei 12 sonetti del Ça ira.

    Accanto al sogno, sul piano storico, di un popolo libero e primitivo, corrisponde sul piano sentimentale quello di una infanzia libera e ribelle che si riversa sul paesaggio maremmano, come nel caso del sonetto Traversando la Maremma toscana, uno forse tra i più belli e noti del poeta. Anche "pianto antico" è molto significativo

    Odi barbare


    "Odi barbare" è una raccolta di 50 liriche scritte tra il 1873 e il 1889. Rappresenta il tentativo da parte del Carducci di riprodurre la metrica quantitativa dei Greci e dei Latini con quella accentuativa italiana. I due sistemi sono decisamente diversi, ma già altri poeti prima di lui si erano cimentati nell'impresa, dal Quattrocento in poi. Egli pertanto chiama le sue liriche barbare perché tali sarebbero sembrate non solo ad un greco o ad un latino, ma anche a molti italiani.
    Predomina nelle Odi barbare il tema storico e quello paesaggistico con accenti più intimi, come nella poesia Alla stazione in una mattina d'autunno. E ancora una volta i temi fondamentali della poesia carducciana sono gli affetti familiari, l'infanzia, la natura, la storia, la morte accettata con virile tristezza come nella poesia Nevicata.

    Rime e Ritmi


    Nella raccolta Rime e Ritmi (1889-1898), formata da 29 poesie, le composizioni in metrica tradizionale si affiancano a quelle in metrica barbara, come sottolinea lo stesso titolo; in esse vengono ricapitolati i motivi già presenti nelle precedenti opere, non senza delle interessanti novità. Se le odi storiche e celebrative, da Piemonte a Cadore, un tempo famose, non incontrano più il gusto dei lettori moderni, alcune altre liriche godono oggi di una notevole fortuna, mostrando un Carducci più intimo e sensibile ai cambiamenti di gusto che segnano la fine dell'Ottocento. Molto apprezzate, in particolare, sono le liriche che vanno sotto il nome di Idillii alpini, ossia L'ostessa di Gaby, Esequie della guida E. R., In riva al Lys, Sant'Abbondio e l'Elegia del monte Spluga, alle quali va aggiunto l'incantevole Mezzogiorno alpino. Presso una Certosa è invece una sorta di testamento ideale, nel quale, di fronte alla morte, Carducci riafferma la sua fede nei valori della poesia. Significative sono anche le tristi elegie La moglie del gigante e Jaufré Rudel.

    Della Canzone di Legnano, parte I (Il Parlamento) (1879)


    Fa parte a sé Il Parlamento, frammento de La canzone di Legnano che è senza dubbio uno dei capolavori del Carducci e dove si trova l'ispirazione maggiore delle maggiori raccolte.
    Poetica
    Con Carducci si ebbe una reazione al tardo romanticismo (Prati, Aleardi) avversato anche dagli Scapigliati.
    In particolare la sua reazione vide il ritorno ai classici e la ricerca di una lingua che avesse dignità letteraria.
    Il sentimento della vita, con i suoi valori di gloria, amore, bellezza ed eroismo, è senza dubbio la maggior fonte d'ispirazione del poeta, ma accanto a questo tema, non meno importante è quello del paesaggio, un paesaggio che non è pittoresco e non è esaltato come prodigio di miracoli di bellezza, ma è il terreno mirabile di forza contro il quale si stagliano tutte le creature.
    Un altro grande tema dell'arte carducciano è quello della memoria che non fa disdegnare al poeta vate la nostalgia delle speranze deluse e il sentimento di tutto quello che non c'è più, anche se tutto viene accettato come forma della vita stessa.
    La costruzione della poesia del Carducci fu di ampio respiro, spesso impetuosa e drammatica, espressa in una lingua aulica senza essere sfarzosa o troppo evidenziata .
    La critica contro corrente
    Lettera aperta a Benedetto Croce, ed. G. Pedone Lauriel, Palermo 1915
    Carducci fu oggetto anche di critiche molto aspre. Da segnalare fra queste quella di FR. Enotrio Ladenarda, pseudonimo di Andrea Lo Forte Randi, critico insigne: Lettera aperta a Benedetto Croce, ed. G. Pedone Lauriel, Palermo 1915. (Ladenarda aveva scritto anche Giosuè Carducci Vol.1° e 2°, Feticisti Carduccini, 1912.), e quella di Natalino Sapegno, che lo defini un poeta minore. Si può leggerne un estratto qui.
    Opere
    Primi versi
    Juvenilia
    Levia gravia, 1868
    Giambi ed epodi, 1882
    Rime Nuove, 1861 - 1887
    Odi barbare, 1877 - 1889
    Rime e ritmi, 1899
    Prose giovanili
    Primi saggi
    Discorsi letterari e storici
    Studi sulla letteratura italiana dei primi secoli
    I trovatori e la cavalleria
    Dante
    Petrarca e Boccaccio
    Il Poliziano e l'Umanesimo
    La coltura estense e la gioventù dell'Ariosto
    L'Ariosto e il Tasso
    Lirica e storia nei secoli XVII e XVIII
    Studi su Giuseppe Parini
    il Parini minore
    il Parini maggiore
    Poeti e figure del Risorgimento
    Leopardi e Manzoni
    Scritti di storia e di erudizione
    Bozzetti e scherme
    Confessioni e battaglie
    Ceneri e faville
    Versioni da antichi e da moderni
    Ricordi autobiografici, saggi e frammenti
    Inno a Satana, 1863
    Alla regina d'Italia, 1878
    Poesie
    Del Risorgimento italiano
    Dello svolgimento della letteratura nazionale
    Letture italiane scelte e annotate ad uso delle suole secondarie inferiori, scritto con Ugo Brilli
    Ça ira. Versi e prosa
    Amarti è odiarti. Lettere a Lidia
    Confessioni e battaglie
    Per il tricolore, discorso tenuto nell'atrio del Palazzo civico di Reggio Emilia per le celebrazioni del primo centenario del tricolore
    Cacce in rima
    Prose
    Accapigliatura ed altre prose
    Lo studio bolognese, discorso per l'ottavo centenario
    Faida di Comune
    Il libro delle prefazioni


    Bibliografia critica
    Walter Binni, Carducci e altri saggi, Einaudi (De Maestri), Torino 1960
    Vincenzo De Caprio e Stefano Giovanardi, I testi della letteratura italiana: l'Ottocento, Einaudi, Milano 1998, pagg. 1023-1086
    Stefania Martini, Dante e la Commedia nell'opera di Carducci giovane, 1846-1865, Collana di studi e ricerche Accademia Ligure di Scienze e Lettere, Pantograf, Genova 1999
    Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia: storia della letteratura italiana, Palumbo Editore, Palermo 1994, pagg. 728-736
    Luigi Russo, Carducci senza retorica, Laterza, Roma-Bari 1970
    Giambattista Salinari, Giosuè Carducci in Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, "Storia della Letteratura Italiana", volume VIII: dall'Ottocento al Novecento, Garzanti 1969, pagg.625-729
    Giuseppe Sozzi, Vita e poesia giovanile di Giosuè Carducci, casa editrice G. D'Anna, Firenze-Messina 1961
    Lorenzo Tomasin, Classica e odierna. Studi sulla lingua di Carducci, Olschki, Firenze 2007
    Renato Serra, Alfredo Panzini, Carducci, Fara Editore, Rimini, 1994.
    Antonio Piromalli, Introduzione a Carducci, Roma-Bari, Laterza, 1988
    Antonio Carrannante, Giosuè Carducci nella storia della scuola italiana, in Cultura e scuola, n. 132, ottobre-dicembre 1994, pp.197-217
    Note

      ^ figlia del sarto militare Francesco Menicucci e della sua prima moglie
      ^ Universitàdi Bologna
      ^ Comitato Nazionale per il centenario della morte di Giusuè Carducci
      ^ Vedi l'opera Carducci di REnato Serra e Alfredo Panzini
      ^ http://www.liceolevi.it/manaravalgimigli.htm
      ^ http://www.archiviostorico.unibo.it/template/detailArchivioEventi.asp?IDFolder=491&IDImmagine=112876&IDOggetto=112872

    Voci correlate
    Adolfo Albertazzi
    Lettera di Mario Rapisardi a Filippo Zamboni , in occasione della polemica con Giosuè Carducci, 21 marzo (1886)
    Lettera di Filippo Turati a Mario Rapisardi, a proposito di Giosuè Carducci, (1881)
    Lettera di Giovanni Alfredo Cesareo a Mario Rapisardi, a proposito di Giosuè Carducci, (1896)
    San Martino
    Pianto antico
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